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Immagine del redattoreViviana Navarra

Il mestiere della fantasia

Intervista all'illustratore Paolo Domeniconi


 

Un tratto capace di incantare bambini e adulti. Paolo Domeniconi è uno di quegli illustratori che trasformano ogni foglio (di carta e digitale) in un universo. Freelance dai primi anni Novanta, ha mosso i suoi primi passi nel mondo della pubblicità, ma è proprio tra le pagine dei libri per l’infanzia che ha trovato la sua vera voce creativa.


Domeniconi ha all'attivo più di 50 titoli, pubblicazioni che attraversano continenti e culture, e collaborazioni con case editrici del calibro di Mondadori e Grimm Press che fanno di lui - a pieno titolo - un ambasciatore della bellezza illustrata.


Tra workshop, premi prestigiosi e una costante voglia di innovare, Domeniconi ci racconta il viaggio straordinario di un artista che ha fatto della fantasia il suo mestiere.

 

Paolo, il giovane Holden di Salinger avrebbe voluto chiamare al telefono i suoi autori preferiti ogni volta che "gli girava". Lei quali autori chiamerebbe?

 

 

Vorrei chiamare il vecchio Piero (della Francesca), sperando di trovarlo in vena e chiacchierare su luci, vuoti, tempo, velature, dorature sulle vesti. Di come vedrebbe la composizione nell’era degli smartphone e del design reattivo.

 

 


Quando ha scoperto il suo talento per il disegno e come ha iniziato a esercitarlo trasformandolo in una professione?

Me la cavavo discretamente all’Istituto d’arte ma non avevo grande passione. Da adolescente disadattato leggevo molta fantascienza Urania e a casa passavo ore disegnando paesaggi cosmici con mostri e astronavi, le copertine dell’epoca erano molto ispirative. In quel modo mi sono fatto un po’ la mano e cominciava a nascere il sospetto di potere farne una professione.


Dopo alcuni anni da grafico in uno studio, mi sono lanciato nell’avventura freelance di illustratore pubblicitario, grande palestra di tecnica. Infine è arrivato l’amore per le storie e gli albi illustrati, ho seguito alcuni corsi illuminanti alle scuole di Sarmede e Macerata e con un po’ di fortuna sono iniziate le prime collaborazioni editoriali.

Quali libri hanno contribuito alla sua  formazione?

“Il Gattopardo”, “Il Maestro e Margherita”, “Sostiene Pereira”.

 

Le sue illustrazioni sono particolarmente suggestive, evocano i sogni e le atmosfere surrealiste. Cosa la ispira più di ogni altra cosa?

 

Parto dalla realtà ma vista con uno sguardo bambino, non tutto è conosciuto e si possono aprire fessure sull’ignoto. Certamente mi interessano i sogni, faccio spesso quello di scoprire nella mia casa una nuova porta dove non ero mai entrato.


Quel “non so cosa” che chiamiamo ispirazione si mette in moto a volte quando sto in mezzo ai boschi o quando visito luoghi abbandonati, mi viene voglia di disegnare anche cose che non c’entrano nulla. Sono materiali e idee che tornano utili quando sono al tavolo di lavoro.

 

Un pensiero felice.

Quando qualcuno che mi scrive da un paese lontano, ha letto qualcosa che lo riguarda in una mia illustrazione.



I suoi maestri, nella vita e nella professione.

Il mio compagno di ufficio Loris Tassinari che mi ha insegnato l’umiltà, lo studio dei maestri del passato e consigliato buone letture. I grandi Linda Wolfsgruber, Carll Cneut, Mara Cerri, nel mio avvicinamento agli albi illustrati. Tra i miei artisti di riferimento: Roberto Innocenti, Brad Holland, N.C. Wyeth, Gennady Spirin… sarebbe un lungo elenco.

 


Qual è il progetto professionale a cui è più legato?

 

Sono molto legato ad un libro particolare, “Cantalamappa” del collettivo Wu Ming, una raccolta di racconti strambi, dove le mappe sono protagoniste e fanno scaturire storie un po’ vere e un po’ inventate legate ai luoghi. Per sviluppare le illustrazioni, più che confrontarmi con gli autori e con i loro materiali ho preferito “seguirli a distanza” e di nascosto ripercorrendo i loro viaggi attraverso le tante fonti accessibili sul web, oltre ad aggiungere innumerevoli dettagli di mia invenzione. Credo che questo approccio abbia contribuito alla ricchezza del libro e al suo successo.

  

Qual è il momento più felice e gratificante del suo lavoro?

Quando il progetto è già abbozzato a grandi linee, c’è una struttura e comincio a lavorare allo storyboard definitivo, la sequenza delle immagini del libro. Sono completamente immerso nella storia e le idee girano veloci.

 


Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che un illustratore deve assolutamente possedere? È sufficiente la tecnica?

La tecnica è importante ma le idee lo sono di più, vedo libri poveri di tecnica illustrativa che stanno in piedi perché l’idea è buona. Se parliamo di albi illustrati, l’illustratore deve entrare nell’ottica di essere un regista, non solo un disegnatore. Il cinema può essere un buon modello ed è molto utile fare un po’ di attività teatrale di base.


Il progetto a cui sogna di dedicarsi o si sta già dedicando.

Al momento sto lavorando su un testo della poetessa Amy Lowell per una casa editrice statunitense. Uno dei miei prossimi obiettivi è svincolarmi in parte dalle commissioni degli editori per sviluppare progetti in collaborazione con autrici e autori, ci sono già idee molto promettenti.


Intelligenza artificiale: un pericolo o un'opportunità per chi opera nel suo settore?

Credo sia difficile avere una visione lucida su un fenomeno di cui si parla tanto, lo stesso termine “intelligenza” mi sembra improprio, si tratta di generazione automatica di contenuti, di intelligente non c’è nulla. Opportunità personalmente non ne vedo, non affiderei a un algoritmo la peggiore parte di una mia tavola.


Pericoli sì, in alcune situazioni in cui serva una illustrazione generica e poco autoriale, dove prima dovevi pagare (poco) un artista, ora te la potrai fare da te.

Per non parlare di chi si vede rubare la propria autorialità per addestrare gli algoritmi, senza nulla in cambio.


Siamo sempre stati messi male con il rispetto del diritto d’autore, ma almeno chi ti copiava doveva fare un po’ di fatica, ora il plagio può essere automatizzato, produzione in serie. Evitiamo i catastrofismi tipo che verremo soppiantati dalle macchine ma per quanto possibile chiediamo rispetto per il nostro lavoro.

  



Grazie.






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