Intervista allo psichiatra salernitano autore di libri di successo.

"Uno psicanalista deve risolvere un problema in quattro o cinque anni. Uno psichiatra, specie se in pronto soccorso, in quattro o cinque minuti". Parola di Antonio Costanza, lo psichiatra nato dalla penna di Corrado De Rosa, salernitano classe 1975, che psichiatra lo è per davvero. La sua penna irresistibile dal sapore amaro e scanzonato sottolinea l'urgenza di certe riflessioni ed esplora con acutezza, ritmo ed esaustività temi di grande attualità. De Rosa è autore di numerosi saggi scientifici e divulgativi sull’uso della follia nei processi di mafia e terrorismo. L'uomo che dorme (Rizzoli 2018) è il suo primo romanzo. A Salerno - psicologia insolita di una città sospesa (Giulio Perrone editore) è la sua ultima pubblicazione.
Corrado, il giovane Holden desiderava poter chiamare certi autori al telefono tutte le volte che gli girava. Lei quali autori chiamerebbe?
Nick Hornby, perché Alta fedeltà e Febbre a novanta sono due libri che avrei voluto scrivere io. Poi Ian Brokken, perché trovo che la sua capacità di raccontare personaggi fuori dal comune sia merce rara. E forse, al di là del valore dei suoi libri, Jo Nesbo. Perché è uno scrittore tradotto in tutto il mondo, è un musicista ed è stato calciatore. La sua dev’essere una vita davvero interessante.
Il libro più bello che ha letto?
Delitto e castigo.
Che cos'è, per lei, la bellezza in un libro?
Una storia che mi appassioni, un personaggio a cui mi affezioni, un argomento che mi faccia pensare, una lingua che mi faccia vedere.
Tre hashtag per raccontarsi.
Sono un #boomer. Non sarei in grado di trovarne uno, figuriamoci tre.
La parola alla quale è più legato?
Etica. E poi: sonno, la cosa che mi piace fare di più è dormire.
Quando ha scoperto il suo talento per la scrittura e come ha iniziato a esercitarlo?
Penso che il talento si tenga saldamente a largo dalla mia scrittura. Ho capito che mi interessava raccontare storie vere portandomi verso le latitudini della narrativa dopo aver letto Norman Mailer, Emmanuel Carrère, Leonardo Sciascia e Truman Capote .
Psichiatra e scrittore. La scrittura è terapeutica? E soprattutto: nel suo caso lo è stato?
No, direi proprio di no. Forse perché non ho mai riversato nelle storie che ho raccontato aspetti vagamente ascrivibili ai miei spettri o alle mie nevrosi. Però c’è stato un momento complicato della mia vita in cui scrivere mi ha aiutato a prendere la giusta distanza dalle cose.
Di Antonio Costanza, lo psichiatra nato dalla sua penna, cosa le appartiene? E in cosa invece è proprio distante da lei?
É uno psichiatra, come me, ed è molto appassionato di calcio, come me. Per il resto, io sono un irrequieto e lui è un indolente. Da questo modo di intendere la vita, ovviamente, partono percorsi troppo divergenti per potersi sovrapporre. Però non posso negare che in lui ci siano altri aspetti del mio modo di intendere la vita. Del resto, anche uno scontrino della spesa dice moltissimo di chi la fa. In un modo o nell’altro, un romanzo finisce sempre per essere un faro puntato sulla visione del mondo di chi lo scrive .
Nel suo ultimo libro definisce Salerno una "città sospesa". Quale il significato di questa definizione?
"A Salerno" è un racconto emotivo, ma non per questo indulgente a tutti costi, della mia città. Ha senso raccontare una città se questa è attraversata da conflitti, contraddizioni. Se attraverso la città puoi raccontare la società che la abita. Altrimenti sarebbe un tema narrativo noiosissimo. Dal mio punto di vista, l’aspetto che rende interessante Salerno è il fatto che si attorciglia su un dilemma: vuole essere la più settentrionale delle città del sud o la più meridionale delle città del nord? E poi c’è il fatto che resta sempre in bilico fra l’ambizione di diventare una città europea e la pervicacia con cui difende i privilegi di provincia .
A noi tutti restano nel cuore certi libri, e certi libri soltanto. Cosa c'è secondo lei di così profondamente "nostro" in quelle pagine?
I miei libri preferiti sono: Delitto e castigo, Il conte di Montecristo, American Psycho, Moby Dick e Le lezioni americane di Italo Calvino. Temo che per sciogliere il nodo che lega questi testi, e che fa risuonare le mie corde psicologiche profonde, non basterebbero dieci sedute psicanalitiche. E temo che le conclusioni potrebbero davvero non piacermi.
L'ispirazione. Per lei cos'è?
In realtà, invidio molto gli autori travolti dall’ispirazione. Mi affascinano quelli invasi dal “furor scrivendi”, quelli che battono al computer fino a notte fonda, quelli che si fermano stravolti dopo 40mila battute perfette e uscite di getto. Scherzi a parte, a me l’ispirazione non arriva mai dall’alto. Di solito, il mio punto di partenza è il tema che mi interessa affrontare. Poi cerco la forma che mi consente di farlo al meglio delle mie possibilità. Diciamo che non ho mai detto qualcosa per il piacere di scrivere, preferisco piuttosto usare la scrittura per dire qualcosa. Quanto allo sguardo sul mondo: sono un lettore onnivoro delle questioni che mi incuriosiscono. Questo facilita lo sguardo laterale che, tendenzialmente, è un modo di approcciare alla realtà che mi piace molto tenere in esercizio.
L'umano è incalzato dal progresso e nella visione del domani il suo posto nel mondo sembra destinato a subire notevoli cambiamenti. L'intelligenza artificiale avanza con un passo impressionante provando a occupare sempre più spazio anche nel mondo delle cosiddette professioni intellettuali. L'umano-scrittore è destinato alla obsolescenza programmata?
É una domanda molto bella e molto filosofica. Credo che la forza delle storie, che ha a che fare con la costruzione dell’identità di una persona e di una comunità, sia destinata a sopravvivere ancora per molto tempo agli effetti collaterali progresso. Ce lo insegnano i miti
Grazie.
Comments