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  • Immagine del redattoreViviana Navarra

Schizzi di creatività

Intervista all'autrice e illustratrice Disney, Daniela Vetro.



Daniela Vetro, siciliana classe 1977, scopre la sua passione per il disegno quando è ancora una bambina e si diverte a scarabocchiare le pareti di casa.


Crescendo si appassiona ai cartoni animati e ai fumetti. Al liceo collabora come caricaturista col Giornale di Sicilia e nei primi anni di università studia illustrazione con il maestro Emanuele Luzzati e cinema d'animazione con la Grafimated di Palermo. Nel 1998 decide che il disegno sarà il suo mestiere e si diploma all'Accademia Disney di Milano. Inizia così a collaborare con Topolino, ma anche con altri magazine come W.i.t.c.h. per cui inventa il design di diversi personaggi e si diverte a curare l’aspetto modaiolo delle protagoniste adolescenti.


Nel 2003 vince il premio di miglior disegnatore, il Topolino d'oro.

Nel 2004 comincia a ricoprire il ruolo di insegnante all'Accademia Disney.


Oltre a collaborare con Disney e Panini, Daniela lavora per altri editori italiani ed esteri come Sergio Bonelli Editore, Glenát ed Egmont. Oggi si diverte lavorando anche nel mondo dei videogiochi per la Social Point e scrivendo libri per bambini.


Daniela, come e quando nasce il suo amore per questa professione?

Ho sempre disegnato, sin da piccolissima. Mia madre mi racconta che facevo scarabocchi sulle pareti di casa già durante gli anni dell’asilo. Per evitare danni mi sequestrò tutti i pastelli, non trovandoli io mi tolsi le scarpe e utilizzai la suola come carboncino. Questo episodio mi ha sempre fatto ridere, ma mi racconta per quello che sono: pacata ma determinata. La passione per il fumetto e in generale per il disegno editoriale nasce poco più tardi, alle elementari. Durante i pomeriggi, tra un compito e un’altro, guardavo i cartoni animati in tv e leggevo i fumetti. Da Disney agli anime giapponesi, da Asterix a Il Giornalino, non c’era soddisfazione più grande del poter raccontare una storia per immagini. E così passavo buona parte del mio tempo libero disegnando e scrivendo storie inventate da me. Qualche volta ero ispirata da argomenti studiati a scuola, che trasformavo in fumetto, come l’Eneide, ma solo una riduzione del quinto canto, non tutta ovviamente!

Quando e come ha mosso i primi passi nel mondo Disney?

Seguendo il mio sogno ho avuto il grande onore di essere allieva di Emanuele Luzzati per un workshop sull’illustrazione a Venezia. Io avevo solo 16 anni, ma Luzzati mi incoraggiò e spronò mia madre a farmi proseguire gli studi in questo settore. Le chiavi per entrare nel magico mondo della Disney arrivarono tramite un articolo giornalistico. Su una rivista femminile si parlava dell’Accademia Disney, che a Milano formava giovani talenti in grado di incrementare il loro team di artisti. Dopo qualche telefonata e l’invio di un portfolio, fui selezionata per il corso di fumetto. Il direttore all’epoca mi disse che ricevevano all’incirca ottocento richieste l’anno, ma la classe prevedeva solo dodici posti. Inutile dire che andò bene. Mi trasferii a Milano, mettendo in stand by l’università di lettere a Palermo. Mi impegnai moltissimo, superai gli esami e nel 1998 firmai il mio primo contratto per Topolino. Da lì in poi ci furono molte storie a fumetti e copertine anche per W.i.t.c.h., Monster Allergy, la Sirenetta, Atlantis. Per quest’ultimo ho seguito anche un master presso gli studios della casa madre, in California. Grazie ai continui corsi d’aggiornamento, tenuti da artisti provenienti da tutto il mondo, ho potuto imparare diverse tecniche e metodologie, che mi hanno permesso di collaborare in seguito con altre case editrici come Bonelli, Glénat e negli ultimi anni Social point, che si occupa di videogiochi e la tedesca Dopavision, che con i visori di ultima generazione cura la miopia infantile.



Quando ha scoperto il suo talento per il disegno e come ha cominciato a esercitarlo e a trasformarlo in una professione?

Nasco principalmente come illustratrice, da quando ho potuto tenere una matita in mano non ho mai smesso di disegnare. Ad un certo punto ho sentito la necessità di scrivere delle storie per i miei personaggi, così sono diventata anche autrice dei miei libri. Non ho mai pensato di trasformare quello che facevo in un lavoro, è successo spontaneamente: non so mai quando finisce il mio tempo libero e quando inizia il mio tempo di lavoro.


Qual è la storia alla quale è più affezionata?

Ho sceneggiato diverse storie, anche se non tantissime, visto che sono principalmente una

disegnatrice. La prima che mi ha fatto sentire una professionista anche in quel campo è stata “ Paperino Paperotto e l’invito natalizio". Ricordo che portavo gli storyboard in redazione per ricevere qualche dritta sul dipanarsi del racconto. Quella a cui sono più affezionata invece, non ha nulla a che fare con Disney. È una guida illustrata sulla Valle dei Templi di Agrigento, città in cui vivo. L’ho disegnata e scritta in italiano e inglese pensando ai miei figli, che allora avevano 5 e 7 anni. Ho curato tutto di quella pubblicazione, anche l’impaginazione e la grafica. Mi ha dato molte soddisfazioni, tra cui una mostra monografica al museo Archeologico Griffo e un premio. Ma il piacere più grande è quello di sentirsi dire che, grazie a questo piccolo libro, ci sono bambini che apprezzano la storia e l’arte. Percorrono instancabili per tre ore il parco archeologico e fanno orgogliosamente da ciceroni ai loro genitori leggendo i miei testi. Che tenerezza!


Se lei fosse un fumetto quale sarebbe?

Se dovessi pensare a me come un fumetto, credo mi piacerebbe essere raccontata dal

segno grafico e dal taglio narrativo di Sergio Toppi o di Dino Battaglia. Due autori straordinari, da cui non smetto mai d’imparare. Se invece dovessi essere un cartone animato, mi vedrei bene in un anime con la regia del maestro Isao Takahata, cofondatore dello Studio Ghibli con Hayao Miyazaki. Un regista poetico, molto attento alla descrizione del paesaggio e ai piccoli particolari che narrano l’ interiorità dei personaggi.

Dentro di lei nasce prima la parola o il disegno?

Alcuni sceneggiatori con cui ho collaborato usano creare degli storyboard molto scarni, da

condividere col disegnatore. Ma credo che l’inizio della creazione avvenga sempre allo stesso modo: che sia un racconto, un fumetto o una sceneggiatura per un film, l’idea nasce da un pretesto, una riflessione o un’esigenza improvvisa. Inizia a essere appuntata sul primo pezzetto di carta disponibile e se non c’è, anche un vocale sul cellulare va benissimo. Poi si pensa al protagonista, all’antagonista se c’è o ai comprimari e subito dopo al finale.

Ti ritrovi a pensare a quell’idea in ogni momento libero. Diventa una dolce ossessione. Ti ritrovi a sorridere a trentadue denti mentre sei al reparto surgelati, perché hai finalmente capito qual è il nodo narrativo che porterà avanti il racconto. Ti diverti a creare il mondo in cui i personaggi si muovono, a mettergli in bocca i dialoghi. A recitarli ad alta voce ai tuoi familiari, pazienti! Poi ci sono le revisioni, e quando finalmente il racconto è pronto in tutti i sui dettagli, inizia il lavoro del disegnatore. Ancora prima delle vignette ci sono lo studio dei personaggi, dei costumi, le ambientazioni, i mezzi di trasporto e i piccoli oggetti di scena. La scelta del segno grafico. Sarà in bianco e nero o a colori? E tutto questo a dire il vero è faticoso e occupa molto tempo. Ma quant’è divertente! Forse la parte più bella.



Lei ha unito il talento della scrittura all’arte del disegno. Lo ha fatto per realizzare una maggiore empatia tra contenitore e contenuto?

Non penso che ci sia una divisione netta tra contenitore e contenuto. Credo che ci sia soltanto il contenuto e la forma, che lo rende fruibile e che, inevitabilmente, influisce sul contenuto che sin dal principio è stato pensato per quella forma. Credo che l’atto creativo sia unico. Anche se è fatto da fasi che si poggiano a strati l’una sull’altra e che pian piano lo rendono tangibile nella sua sfaccettata unità. Esistono molte vignette mute. In questo caso cosa sarebbe forma e cosa il contenuto? Eppure il significato è palese al lettore, che lo fruisce in continuità con le altre vignette dove il segno dell’illustrazione si fonde col segno grafico della parola. Andando al di là della nuvoletta, le onomatopee, per esempio, hanno font colorati e vibranti per aggiungere senso a ciò che trasmettono.


Quali caratteristiche un autore di storie illustrate deve necessariamente possedere?

Non voglio dilungarmi in un noioso elenco di capacità tecniche. Ne indicherò soltanto tre: la

curiosità, la passione e l’empatia. La prima è indispensabile per tutti coloro che svolgono un’attività creativa. La seconda è l’anima di ogni lavoro ben fatto. Come indica la parola stessa è fatta di desiderio e fatica. É fondamentale per portare avanti creazioni complesse e accurate. La terza, secondo me, ha a che fare con la capacità di osservare, comunicare e rendere universale il nostro vissuto personale.


L’ ispirazione, per lei, cos’è?

L’ispirazione è quel cortocircuito che trasforma un problema in opportunità. Un dettaglio in una epifania.


Intelligenza artificiale: un rischio o un’opportunità per la sua professione?

Non ho la risposta per una domanda così complessa. É la domanda del secolo. Siamo di fronte a una rivoluzione. Ma voglio essere positiva e credo che oltre a nuovi problemi, porterà grandi possibilità e benefici. I timori per la mia professione sono alti, ma credo che leggi serie sul diritto d’autore potrebbero tutelare i disegnatori e i creativi in generale, così come è giusto che sia, trattandosi di un mestiere che reclama dignità e diritti.

Come tutte le invenzioni, che hanno cambiato la storia dell’umanità, tutto dipenderà dall’uso che saremo capaci di farne. Per citare Spiderman “ Da grandi poteri derivano grandi responsabilità “.


Grazie.






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